Dagli spalti al campo: la straordinaria storia di Stefano Tataranni al Black Jack
Dall’esordio a 14 anni al Green Park fino alla Champions 2025: sempre un passo indietro per fare andare avanti la squadra
Ci sono calciatori che entrano nella storia con i gol, con le giocate decisive o con i numeri. E poi ci sono quelli che la storia la scrivono in modo diverso: con la costanza, con il rispetto per la squadra, con gesti carichi di significato. Stefano Tataranni appartiene a questa seconda categoria.
La sua storia con il Black Jack inizia molto prima della fascia da capitano, prima delle responsabilità, prima persino dei riflettori. Inizia fuori la recinzione dei campi a sette del Green Park, dove un bambino curioso e innamorato del calcio osservava ogni partita, ogni vittoria, ogni sconfitta. Accanto a lui, lo zio Giosè Monno, capitano all’epoca e oggi presidente del club, gli ha trasmesso qualcosa che va oltre il gioco: l’amore vero per la maglia biancorossa.
Fin da piccolo, Stefano non si limitava a tifare: viveva il Black Jack. Partecipava a ogni evento, respirava l’aria del club, e con le sue mani cominciava a imprimere il suo segno indelebile: dal 2009 ad oggi, ogni logo del Black Jack porta la firma di Stefano, simbolo di un legame che unisce identità, passione e creatività.
Negli anni della sua infanzia e adolescenza ha conosciuto tutte le emozioni possibili: ha esultato per due scudetti conquistati, ha sofferto per due finali di Champions perse da tifoso, vivendo quelle sconfitte con la stessa intensità con cui avrebbe vissuto ogni partita futura da calciatore.
Il debutto in prima squadra arriva nel 2011, a soli quattordici anni, contro il Macedonia. Un esordio che per molti sarebbe rimasto un ricordo lontano; per Stefano, invece, è stato un punto di partenza, l’inizio di un percorso che lo avrebbe portato a diventare uno dei simboli del Black Jack rinato.
Oggi, il terzino non è solo un giocatore: è uno dei pilastri dello spogliatoio. Ha scelto la via più difficile, quella dell’equilibrio: ha ceduto la fascia da capitano per rispetto, ha fatto passi indietro quando serviva, ha accettato la panchina pur di non rompere equilibri vincenti. Sempre con una regola chiara davanti a tutto: la squadra prima di sé stesso.
Ma la sua grandezza non si misura solo in campo. Stefano ha contribuito a costruire l’identità visiva del club, firmando ogni logo dal 2009 ad oggi, rendendo il Black Jack riconoscibile e unico. È un gesto che parla di appartenenza e amore per la maglia, lo stesso amore che lo ha accompagnato dagli spalti del Green Park fino ai momenti più importanti della sua carriera.
In un calcio spesso dominato dall’ego e dal clamore, Stefano ha scelto il silenzio, la dedizione e l’esempio. Ha dimostrato che l’amore per una squadra non si misura in minuti giocati o gol segnati, ma in costanza, sacrificio e passione.
Oggi, nel giorno del suo onomastico, il Black Jack celebra Stefano Tataranni: il tifoso, il calciatore, l’artista dei loghi, il pilastro dello spogliatoio. Buon onomastico, Stefano.
Perché il Black Jack, quello vero, passa anche da uomini come te.


