La famiglia Black si ritrova a cena: dal campo alla tavola, più forti insieme
Una squadra dove uomini e calciatori crescono insieme, senza perdere se stessi
Quando Stefano Tataranni mi propose di far ripartire il Black, ero scettico. Non perché non credessi nei ragazzi, ma perché avevo perso quell’entusiasmo che avevo anni fa. Pian piano, però, la macchina si è rimessa in moto. Da undici persone siamo diventati venticinque: ragazzi che si rispettano, che sanno scherzare e ridono di gusto, che si impegnano senza mai dimenticare il piacere di giocare insieme.
La serata di ieri al Garden è stata la conferma di quello che già percepivo: Black e Project sono un’unica famiglia. Vedere quasi tutti presenti festeggiare e condividere una cena, mi ha fatto capire quanto questo progetto sia più grande della semplice partitella settimanale. Non si tratta solo di vittorie o di prestazioni, ma del rapporto che si costruisce tra di noi giorno dopo giorno.
Abbiamo iniziato con il Black Jack l'ottobre del 2024 con un fermo di quasi tre anni, e quando il numero di ragazzi è cresciuto, abbiamo creato il Project. Oggi siamo primi in entrambe le competizioni, e se questo è un risultato importante, ancora più significativo è vedere l’entusiasmo che circonda il nostro gruppo, che io chiamo famiglia.
Da uno sponsor siamo passati a sette, segno che chi ci segue crede in ciò che facciamo. Ma entrare a far parte del gruppo non è automatico: prima bisogna essere uomini, poi calciatori. Chi non rispetta questa regola, anche se è arrivato per caso, sa che non può restare.
Un aspetto che spesso non emerge fuori dal campo è il lavoro di comunicazione che accompagna il Black e il Project. I nostri giornali, le pagine e i contenuti che produciamo, sono percepiti dall’esterno come qualcosa di unico nell' amatoriale. Chi legge capisce la passione, l’organizzazione e la continuità che mettiamo in tutto ciò che facciamo. Questo è un riflesso fedele di ciò che viviamo nello spogliatoio: attenzione ai dettagli, cura per il gruppo e la volontà di fare le cose bene, senza prendersi troppo sul serio ma con professionalità.
La cosa più bella, però, è sapere che a seguirci ci sono fidanzate, mogli, padri, madri, nonni, nonne, fratelli. Vedere queste persone partecipare, tifare, condividere vittorie e sconfitte, rende tutto più vero, più intenso e più emozionante.
La bellezza del Black e del Project non sono solo i risultati in campo, ma la vita che si respira dentro e fuori dallo spogliatoio. La squadra mi ha restituito passione e gioia, cose che credevo di aver perso. E di questo posso solo ringraziarli.
Guardando i ragazzi ieri sera, ho pensato che stiamo facendo qualcosa di raro: una squadra dove le persone vengono prima dei numeri, dove ognuno trova il proprio posto e sente di poter dare il massimo senza mai perdere se stesso.
E questo, più di qualsiasi classifica, è la nostra vera vittoria.

