Di Munno, l’operaio del Black Project: quella corsa che regalò la semifinale contro i Gabbiani
Innamorato dei colori biancorossi, sin da ragazzino: il terzino torna in gruppo con un solo obiettivo, vincere
Nel calcio amatoriale ci sono reti che valgono più dei tre punti, perché restano nella memoria collettiva di una squadra. Quella di Michele Di Munno, terzino del Black Project, è una di queste: un gol “alla Fabio Grosso”, nato da un dribbling in area e chiuso con un sinistro chirurgico che ha mandato al tappeto i Gabbiani. Una prodezza che ha consegnato il suo nome alla storia dei biancorossi, e che lui stesso ricorda con un sorriso timido, come se non volesse prendersi troppo sul serio.
Settimana scorsa è rimasto lontano dal gruppo per motivi personali - che la società, per rispetto della privacy, ha preferito non commentare - ma ora è di nuovo a disposizione. E da lui, lo sanno bene il tecnico Traversa e la dirigenza, ci si aspetta un ritorno con il piglio di chi vuole incidere.
Di Munno non è mai stato un uomo da copertina: in campo parla poco, ma gioca tanto. “L’operaio del Project”, lo chiamano in spogliatoio, e lo dicono con rispetto. È uno di quelli che non smette mai di correre, che si adatta, che si mette al servizio del gruppo. Un ragazzo schietto, a volte pure colorito, come in quella famosa volta in cui definì gli avversari “chidd carna in gul”, diventando protagonista di una delle gag più ricordate della stagione.
Ma dietro l’ironia c’è un giocatore vero, cresciuto nella passione per il Black, che da bambino seguiva sugli spalti con occhi pieni di entusiasmo. Oggi, quella maglia la indossa lui. E in un torneo competitivo come la Elite Super League, la sua dedizione potrebbe fare la differenza.
Niente proclami, niente frasi a effetto. Solo la consapevolezza che, con ragazzi come Michele Di Munno, si costruiscono le fondamenta di un progetto vincente. E se il Project vorrà davvero puntare al titolo, serviranno proprio uomini così: silenziosi, umili, ma capaci di cambiare una partita con un solo tocco.

