Black Jack 2009

Cacu si ferma, la squadra lo sorregge...la tua "spalla" siamo noi

Il Black Jack si stringe attorno al difensore: quattro parole che valgono più di un gol

14.11.2025 10:11

Ci sono partite che non finiscono col triplice fischio. Restano sospese, come un’eco che continua a vibrare dentro chi c’era. E la sfida tra il Black Jack e il Real Castelluccio è una di quelle. 

E no, non sto parlando dell’arbitro (in quel caso solo qualche edulcorata parola in salsa barese, nel senso più nobile del termine). Il risultato è quasi un dettaglio, perché la scena che resta impressa non parla di gol, ma di qualcosa di più autentico. Succede tutto dopo il penalty assegnato ai biancorossi al 10" del primo tempo: Marchitelli segna il gol del vantaggio, la squadra si abbraccia, poi accade qualcosa. Antonio Naselli, coetaneo e amico del Cacu, chiama il bomber di Barivecchia verso la panchina e gli consegna una maglia. È nera, ha una scritta semplice, con un doppio senso da Black humor ma, in realtà, nel puro ed inimitabile stile Black Jack: “Cacu, la tua spalla siamo noi” 

Non serve spiegare chi sia “Cacu”. Basta guardare verso la linea laterale: c’è Vincenzo, con una giacchetta color beige che gli copre appena il braccio incriminato e quel tutore da lui tanto odiato. Ha quella compostezza tipica di chi soffre in silenzio, e non certo per la temperatura, vista la scelta di indossare una giacchetta leggera in una serata gelida. Forse ha immaginato il calore della scena? A noi piace pensarla così. 

Cacu è un calciatore vero: uno di quelli che, quando qualcuno provò a offrirgli acqua e zucchero mentre era dolorante, lì nei pressi del cerchio di centrocampo e con una spalla penzolante, non pensò alla parola (poco elegante) da attribuire al simpatico soccorritore del 118 improvvisato, ma solo a quando avrebbe potuto rientrare in campo. Con le palle, diciamolo senza che nessuno si offenda. 

Solo che stavolta, a scendere su quel campo di patate, per lui, ci sono stati gli altri. I suoi compagni. Niente discorsi retorici. Niente foto posate. Solo un messaggio pulito, come si fa tra chi si conosce da anni. Vincenzo non dice molto di sé, questo è risaputo. È di poche parole quando si tratta di esprimere le proprie emozioni; uno che aspetta e spera di ottenere una “bella foto” ogni sei mesi per postarla nelle storie, giusto per carpirne il personaggio. È uno che nononostante fatichi a trasparire emozioni esteriori, dentro di sé è un mare in movimento: quel gesto lo ha toccato nel profondo, più di quanto chiunque potesse immaginare. 

Il Black Jack ha pareggiato questa partita, tra le “gasteme” del duo Turitto e Marchitelli, ma solo alla fine del match. Perché la vera lezione è un’altra: la certezza che, in fondo, la parola squadra ha ancora un senso. E che certe frasi (quattro parole su una maglia ) valgono più di cento discorsi. 

di Giosè Monno

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